Non vediamo mai la realtà esattamente per quello che è. Vediamo ciò che speriamo di vivere o ciò che vorremmo evitare di incontrare.
Non possiamo vedere il mondo per quello che è perché siamo parte di quel mondo. Siamo totalmente immersi in ciò che cerchiamo di conoscere mentre ne facciamo esperienza.
Incontrare la realtà così come è, ci richiede alcuni passaggi obbligati.
Incontriamo/ci scontriamo con la realtà. La neghiamo. Argomentiamo.
A volte ci disperiamo. Altre volte ci lamentiamo.
Perché mi sta accadendo proprio questo?
Perché le cose non vanno mai come vorrei?
Da una parte: la realtà che vorrei. Dall’altra: la realtà che vivo.
Fino a che non arrivano domande nuove, più vitali.
La settimana scorsa mi sono resa conto che niente di quello che avevo previsto di fare nella prima metà dell’anno si è realizzato.
Nonostante abbia imparato - grazie a questi due anni di pandemia - a tenermi aperta all’imprevisto con un buon grado di flessibilità, a un certo punto mi sono chiesta qual fosse la “giusta” misura tra il tenere salda una direzione e l’accogliere la vita così come è.
In che misura posso determinare me stessa e la vita che desidero vivere? In che misura devo ammettere che è la vita a modellare la mia identità?
Qual è il mio margine di manovra?
Lo so, è un po’ come cercare di capire se è nato prima l’uovo o la gallina, ma frequentare domande senza risposta mi ha sempre aiutata a saltare oltre il senso di impotenza.
Se rinuncio all’idea di capire, posso trovare nuove possibilità.
Guardando alla mia esperienza personale mi rendo conto che non posso essere direttiva nei confronti della vita. Ogni tentativo in questo senso è destinato a fallire.
Anche quando stabilisco una direzione, devo sapere che quasi certamente finirò in luoghi inaspettati. E che è proprio grazie a queste ‘deviazioni’ non previste che ho la possibilità di discriminare, di chiedermi.
Sto seguendo la giusta direzione? È il caso di cambiare strada?
Cosa mi richiede questa situazione? Come mi sta facendo crescere?
È un processo senza fine, che procede per continui aggiustamenti.
È faticoso? Sì. Perché mi richiede una vigilanza continua.
È sorprendente? Sì. Perché mi tiene aperta al nuovo.
Vimala Thakar - filosofa indiana che amo moltissimo - lo racconta così:
Nessuno insegna come la vita, lanciando sfide sempre nuove, sempre diverse. Ogni alba porta una nuova sfida sulla soglia di casa. Ogni rapporto porta una nuova sfida sulla soglia di casa. Ogni rapporto porta una nuova sfumatura dell'incresparsi della vita. Perciò la vita è sempre ansiosa di insegnare a chi è disposto a imparare da sé.
Quando condivido il modo in cui mi pongo di fronte a un cambiamento o a una transizione - come sto facendo adesso - spesso mi viene detto che sono naïf e che conservo un ottimismo testardo.
È vero. Ho in dotazione un'innata fiducia nell’umano.
Ma la speranza non è gratis. È frutto di un pensiero, di una riflessione che si fa scelta.
Una scelta che rinnovo a ogni incontro-scontro con la vita, con sempre maggiore determinazione.
Nel mezzo di una difficoltà se mi fermassi a trovare mancanze e colpe senza coltivare la speranza di migliorare la situazione, finirei inevitabilmente per sentirmi rassegnata. Il cinismo è sintomo di rassegnazione ed è un futile tentativo di autoprotezione. La vita quando arriva arriva.
D’altra parte se transitassi in una situazione ‘intensa con la cieca ostinazione che prima o poi tutto andrà bene, produrrei un altro tipo di rassegnazione e non avrei più motivo di impegnarmi (creativamente) per migliorare la situazione.
Se il pensiero critico senza la speranza è cinismo, la speranza senza il pensiero è ingenuità.
Io scelgo di transitare nella terra di mezzo fra ragione e speranza mentre cerco di costruire la vita che desidero vivere.
Un abbraccio,
Serena
Credo nel valore delle parole e nella magia dell'incontro. Se ti fa piacere condividere i tuoi pensieri e la tua esperienza puoi lasciare un commento oppure scrivermi a scrivimi@serenamancini.com: sarò felice di conoscerti meglio e ti risponderò a mia volta.