Questa settimana ho ritrovato un’amica, Rosa, che non vedevo dai tempi del liceo. 30 anni! Mi ha stupito vederla naturalmente cambiata eppure ancora così vicina alla persona che conoscevo.
Mentre chiacchieravamo ero curiosa di conoscere la nuova ‘Rosa’, ma il mio sguardo era costantemente filtrato dal ricordo della ‘Rosa’ che avevo incontrato nel passato. Avete presente il gioco dell’unire i puntini? Ecco. Ascoltavo i suoi racconti e mi ritrovavo a immaginare la traiettoria compiuta dalla sua vita. Tutta assorbita nel tentativo di colmare lo spazio fra quelle due istantanee così distanti nel tempo.
Da un lato c’era una sensazione di familiarità e di conferma: Rosa è sempre stata una persona di grande presenza, dinamica, schietta senza essere ingenua, piena di fiducia nelle proprie capacità di azione. Dall’altro c’era la sorpresa di scoprire in che modo aveva declinato queste potenzialità per costruire la sua vita e affrontarne le sfide.
Il suo racconto restituiva un percorso di progressiva e continua crescita. Bravissima al liceo, laureata con il massimo dei voti, una carriera nell’Investment banking, poi un punto di discontinuità e, infine, la creazione di una società di consulenza tutta sua, nel settore della finanza etica.
Mi ha colpito immediatamente quel suo salto di discontinuità lavorativa e le ho chiesto di dirmi di più. Ero curiosa di scoprire cosa l’aveva spostata dal movimento di cura del proprio percorso di carriera all’impegno sociale, al punto da assumersi un rischio di impresa personale.
Rosa mi ha raccontato che è stata la domanda di una ragazza ad aprirle gli occhi.
“Le persone fortunate come me, poi hanno voglia di dare”. Spinta da questa intenzione, diversi anni fa ha cominciato a prestare servizio di volontariato per un progetto di Worlfund, una organizzazione internazionale che si propone di ridurre la povertà tramite il miglioramento della qualità educativa.
Si era trovata a operare in Brasile, in una favela di San Paolo. Andava nelle scuole a spiegare quanto l’istruzione sia necessaria per costruire il successo, per creare un futuro diverso. Al termine del progetto, un gruppo di studenti si è avvicinato chiedendole di fare una foto insieme e una ragazza le ha chiesto: “Ma tu, tu credi davvero che io, con la scuola, posso cambiare il mio futuro? E tu? Tu cosa stai facendo, in questo momento, per contribuire al cambiamento che vorresti vedere nel mondo?”.
Quella domanda le aveva fatto da specchio. Lo sguardo di quella bambina sulla sua vita, la domanda a cui aveva dato voce, le aveva svelato qualcosa che lei da sola non sarebbe mai riuscita a vedere.
Lascio che sia Rosa a raccontarvi il resto della storia. In un suo TED Talk di qualche anno fa condivide tutti i movimenti interiori che quella domanda ha provocato dentro di lei, imponendole nuove scelte e rendendola capace di azioni nuove.
Due cose in particolare mi hanno colpita di questo incontro.
La scelta di Rosa di non dare una voce ‘pubblica’ alla fatica che senz’altro questo cambiamento ha provocato in lei e nella sua vita. La fatica che invece ho dovuto fare io per non tirare la conclusione che il suo cambiamento sia stata cosa facile: una naturale conseguenza di un percorso di successo.
La verità è che io non ho vissuto accanto a Rosa in questi anni e non è possibile per me conoscere l’insieme di tutti i passi che lei ha immaginato, scelto e percorso per diventare la Rosa che mi sono trovata di fronte. Dal mio punto di osservazione io posso vedere con certezza solo un punto di partenza e un punto di arrivo.
La narrazione di senso che traggo unendo il punto di partenza al punto di arrivo sono frutto di una mia interpretazione. Una immaginazione di cui sento il bisogno per colmare la distanza fra il punto di arrivo e il punto di partenza. Questa narrazione ha una connotazione particolare: attinge al mito del successo, l’unica narrazione riconosciuta come significativa dalla nostra cultura.
Mi sono resa conto, una volta di più, dell’esistenza di un filtro nella percezione, una membrana che dà origine alla nostra visione e narrazione del mondo. Ma mi sono anche accorta che esiste in me - donna bianca adulta istruita che vive in condizione di benessere - una narrazione culturale che precede ogni narrazione personale. Come una luce monocromatica che assorbe tutti i colori della mia esperienza individuale, condizionando la visione e la percezione.
Non mi meraviglia che sia stata proprio una giovane a fare una domanda così potente.
La ragazza ha ascoltato le parole di Rosa e qualcosa - dal suo punto di vista - non tornava. La sua esperienza quotidiana le mostrava possibilità ben diverse. Così ha formulato una domanda, mettendo in discussione un assunto.
Dando voce alla sua prospettiva individuale ha permesso a Rosa di “specchiarsi”. Il punto di partenza delle sue scelte e delle sue azioni era la certezza che l’istruzione fosse tutto ciò che occorreva per promuovere un cambiamento positivo nel mondo. Rendendosi consapevole di quel filtro, mettendolo in discussione, Rosa è stata capace di trovare nuove prospettive, di immaginare nuove possibilità e di percorrere nuove azioni: di essere il cambiamento che desiderava portare nel mondo.
Questo non sarebbe stato possibile se la ragazza non avesse dato voce al suo punto di vista. Questo è il modo in cui ognuno di noi, con la sua unicità, può aggiungere significato alla vita di tutti gli altri.
Un abbraccio,
Serena
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CREDITS: Nella foto, un’opera dell’artista Olafur Eliasson intitolata Solar Compression ed esposta nella mostra “Nel tuo tempo” a Palazzo Strozzi, Firenze.