Ciao,
la scorsa settimana condividevo con un’amica quanto mi sentissi realizzata nella formazione.
Forse in un eccesso di entusiasmo ho condiviso dettagli che poco o niente avevano a che fare con l’importanza della scoperta personale che stavo cercando di comunicare. Ho dato molta enfasi al fatto che il lavoro è arrivato su commissione di un ente formativo prestigioso, che la formazione sarebbe avvenuta in contesto produttivo, coinvolgendo il top management di un’azienda internazionale con diverse sedi in Italia.
Chi mi ascoltava, volendo partecipare della mia gioia, mi ha risposto: “Wow! Che successo!”. Mi sono difesa rispondendo: “Ma no! Non era questo che intendevo…”
Non volevo condividere la gioia di un successo. Realizzazione e successo non sono sinonimi, anche se spesso le due esperienze possono accadere insieme. Volevo condividere quella sensazione di sentirmi proprio nel ‘mio posto’ e accorgermi che in quel posto ci sto bene. Quella sensazione di coincidenza che ti esplode dentro quando ‘realizzi’ che quello che stai facendo ti sta mostrando ‘chi sei’.
Nel suo significato etimologico italiano, la parola ‘realizzare’ significa “concretizzare, conseguire un fine predisposto”. Il significato della parola si è poi allargato fino ad abbracciare e accogliere il significato del corrispettivo inglese ‘to realize’ che indica il momento in cui si ‘percepisce qualcosa come reale’ o l’essere completamente consapevole e coscienti di qualcosa’. Realizzare indica una comprensione profonda.
“Chi sono io?” questa domanda ci risuona dentro tutti i giorni. Per chi, come me, pratica una via di consapevolezza e auto-conoscenza è anche la direzione di un viaggio. Scoprire chi siamo e cosa ci stiamo a fare qui, è il progetto di una vita.
A me quello che stupisce però è quanto sia facile dimenticare che la risposta non può che emergere dalla vita.
Le pratiche di consapevolezza ci rendono sensibili e attenti, capaci di cogliere tracce di noi e riconoscerle nell’esperienza, mentre viviamo nel mondo. Non sono il fine della realizzazione. Perché la realizzazione di sé non uno stato da raggiungere. È una conseguenza dell’essere presenti a sé stessə e alla propria vita.
Quando siamo bambinə percepiamo in modo naturale chi siamo. Poi cresciamo ed entriamo in relazione con glə altrə e con il mondo e i conti non tornano più. C’è un sentire interno e poi c’è quello che di noi incontriamo nel mondo, negli sguardi, nelle reazioni e nelle parole degli altri.
Quel mondo ‘fuori’ ci scuote, lasciando emergere alla superficie parti sommerse e sconosciute della nostra identità. Parti che altrimenti non avremmo mai incontrato. Il ‘fuori’ allora non è un nemico da cui difendersi, è l’occasione per riconoscerci. Il ‘fuori’ ci sfida, ma ci rende anche più ‘grandə’.
Se l’identità che ci portiamo ‘dentro’ non si allarga di conseguenza per comprendere i nuovi significati e le nuove parti che emergono nell’incontro con la vita, difficilmente potremo sentirci realizzatə.
Più facilmente cominceremo a pensare alla realizzazione come a uno stato da raggiungere. Cominceremo a proiettare nel futuro l’idea di come vorremmo essere, di ciò che vorremmo avere, di ciò che vorremmo compiere. E tutto ciò che scopriremo sarà valutato come un successo o un fallimento, a seconda della vicinanza o dalla distanza da quella immaginazione. “Ecco! Quando raggiungerò questo o quell’obbiettivo, finalmente sarò realizzata!”. E spesso rimarremo delusə.
Ogni volta che desideriamo diventare qualcosa che ‘non siamo’ in questo momento, stiamo rimandando la possibilità di realizzarci. “Desiderare di voler diventare” diventa l’ostacolo che ci impedisce di realizzare ciò che è già presente.
Provo a fare un esempio. In questo momento ho il desiderio di condividere in modo accessibile e concreto una comprensione attraverso la scrittura. Io sono questo desiderio. E realizzo me stessa mentre lo riconosco.
Ma la mia scrittura, qui e ora, rispecchia soprattutto un’idea della vita, una comprensione intellettuale, più che la vita stessa. C’è distanza fra la mia comprensione e la mia capacità di esprimerla e comunicarla. Ne sono consapevole.
Eppure scrivo. Ostinatamente. Perché è in questa difficoltà che mi sento esistere. Io sono questo processo, mentre lo osservo accadere. E, ancora una volta, mi realizzo mentre me ne accorgo.
Ok. Provo a tirarmi fuori dal luogo in cui sono infilata e ti offro, per concludere, le parole di Beatrice Alemagna.
“Nelle immagini continuo a ricomporre, a cambiare, a fare scomparire e apparire le cose. E questa ostinazione, a volte fallimentare e dolorosa, mi porta a capire”.
- Beatrice Alemagna
Sta parlando del suo processo creativo, ma per me l’arte mette in scena e in azione la vita. Così in questo messaggio io trovo anche un’indicazione preziosa per incontrare sé stessi nella vita e realizzarsi: considerati un work in progress, coltiva una mente aperta e mobile, ostinati nella ricerca fino a comprendere.
Un abbraccio,
Serena
Approfondimento:
La citazione di Beatrice Alemagna e le illustrazioni di questa newsletter sono tratte da “Le cose preziose”, la mostra dedicata al suo lavoro di illustratrice e autrice: Bologna - Palazzo Paltroni, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, fino al 26 aprile (ingresso gratuito)
Note per i lettori abbonatə:
Cosa vuol dire per te “realizzarti”? Quando ti sei sentitə realizzatə nella tua vita? Condividi le tue risposte nei commenti.
Giovedì scorso ho pubblicato una pratica di yoga nidra intitolata “Incontra chi sei”. La pratica di yoga nidra è il laboratorio più efficace che conosca per ‘allargare’ la percezione interna fino a comprendere la totalità della nostra identità, senza più censure e blocchi di pensiero limitanti.
Credo nel valore delle parole e nella magia dell'incontro. Se ti fa piacere condividere i tuoi pensieri e la tua esperienza puoi lasciare un commento oppure scrivermi a scrivimi@serenamancini.com: sarò felice di conoscerti meglio e ti risponderò a mia volta.